Il titolo odierno fa riferimento all’arguta presentazione sul palco del Teatro Parenti di Milano effettuata ieri mattina dal direttore artistico Gianni M. Gualberto, riferendosi al fatto che, dei molti abbonati e paganti alla terza data del ciclo di concerti intitolato “Pianisti di altri mondi“, se ne sono presentati circa 200, evidentemente i più coraggiosi e determinati. Ora, ciascuno è ovviamente libero e padrone delle proprie scelte, tuttavia osservo, più in generale, che il muoversi disordinatamente sotto l’effetto di un allarmismo decisamente eccessivo a mo’ di sciame d’api impazzito, intasando, come è capitato, il 112 a scapito di emergenze più serie, non pare esattamente l’indice di un paese maturo, responsabile e dai comportamenti razionali; ma tant’è, questo è quello che pare passare il convento da ormai troppo tempo in un paese dove tracce di follia collettiva paiono far capolino sempre più spesso. Sta di fatto che i convenuti hanno potuto godere di un concerto che è andato ben oltre l’aspetto estetico e di intrattenimento, rivelando tratti persino educativi. Una autentica lezione in musica circa la diffusione capillare nel Novecento delle radici musicali americane e caraibiche, non solo nel jazz, ma più in generale nella musica popolare mondiale.
Per l’occasione propongo qui sotto la sintetica ma efficace recensione del concerto proposta dal fratello maggiore che ha voluto accompagnarmi all’evento domenicale in questione.
Riccardo Facchi
Come promesso dalle presentazioni, il bel concerto di Yonathan Avishai al Parenti di Milano ha potuto mostrare quanto profonda sia la sua conoscenza musicale a partire dalle origini della musica del Continente Nuovo del secolo scorso. Un lavoro di esegesi musicale che ha saputo dimostrare quanto in fondo ragtime, musica cubana e musica brasiliana attingano linfa creativa dalle medesime radici, fondate sul ritmo e sulle linee melodiche di ispirazione latina. Impressionante ad esempio l’esecuzione del celeberrimo Maple Leaf Rag di Scott Joplin in versione rallentata che ha potuto, come in una moviola, evidenziare con grande cura la ricchezza delle linee melodiche e ritmiche in esso contenute. L’accostamento di questo brano con altri brani dei grandi compositori Ernesto Nazareth e Ernesto Lecuona, brasiliano e cubano rispettivamente, ha messo in evidenza queste similitudini rendendole plasticamente godibili anche agli orecchi dei non espertissimi. La seconda parte del concerto è andata oltre, nel senso che Avishai ha saputo mirabilmente collegare queste radici a brani famosi scritti successivamente in contesti apparentemente molto diversi con una medley in cui faceva eco La Vie en Rose” di Louiguy, resa famosa da Edith Piaf e persino Stevie Wonder. Come diceva il grande Pablo Picasso: “I buoni artisti copiano. I grandi artisti rubano“, e in musica è proprio successo questo: i vari artisti che si sono succeduti, “rubando” con intelligenza, ci hanno regalato opere stupende di cui possiamo godere ancora oggi proprio grazie ad artisti quali Avishai. Grazie Yonathan, che con il tuo lavoro ci hai reso tutti più consapevoli di ciò.
Edoardo Facchi